Nel 2015 abbiamo lasciato la protagonista undicenne del film premio Oscar Inside Out con il suo drappello di emozioni tenuto a bada da Gioia, un’esplosiva fatina che saltella scalza per la sua testa assicurandosi che la bambina cresca tutto sommato felice.
Nove anni più tardi, la Pixar, lo studio di animazione tenuto a battesimo da Steve Jobs e acquisito dalla Disney nel 2006, la riporta sul grande schermo alle prese con i cambiamenti dell’adolescenza.
Atteso dai fan e applaudito dalla critica, Inside Out 2 ha esordito nelle sale di Stati Uniti e Canada questo fine settimana con un incasso record di 155 milioni di dollari. In Italia arriva il 19 giugno.
“Ci sono voluti quattro anni di lavoro, 10 versioni diverse, 400 professionisti, tra cui 150 animatori, la più grande squadra che la Pixar abbia mai riunito in 28 film“, fa i conti il produttore Mark Nielsen, durante un’intervista con l’ANSA nel quartier generale progettato dall’ex Ceo di Apple a Emeryville, appena fuori San Francisco.
“Ho cominciato a pensare a questo sequel a gennaio del 2020 – spiega il regista Kelsey Mann -. Volevo esplorare l’adolescenza e capire cosa succede nella nostra testa a quell’età. Ho letto libri, incontrato esperti, ascoltato podcast. Mi dicevo: se il film non si fa, almeno sarò un padre migliore“, dice all’ANSA Mann, che ha due figli di 16 e 17 anni.
Un gruppo di psicologi ha fatto da consulente e ha aiutato a restringere una lista di nove sentimenti ai quattro che figurano nel film: “Sarebbe stato troppo complicato per un cartone da 90 minuti – spiega il regista – così abbiamo tenuto quelli che si manifestano con più forza nella pubertà: Imbarazzo, Invidia, Ennui – la più cool, indifferente a tutto, che si crogiola sul divano e sfoggia un accento francese – e Ansia, sovraeccitata e iperattiva. Mi era chiaro fin dall’inizio che dovesse essere lei a guidare la rivolta che prende il controllo di Riley“.
Mann parla anche per esperienza personale: “L’ansia mi ha sempre dato filo da torcere. Molte ricerche che avevo consultato dicevano che era in aumento tra gli adolescenti, soprattutto tra le ragazze. Poi c’è stata la pandemia: l’ho vista aumentare nei miei figli e amplificarsi anche tra noi adulti, incapaci di rassicurarli. È sempre stata presente, ma per questa generazione è l’emozione preponderante“.